elaborazione grafica di M. Cristina e Isabella Gherlantini
elaborazione grafica di M. Cristina e Isabella Gherlantini

 

IL SOLE, AL DI LA' DELLE NUVOLE


Era una tiepida giornata di primavera, il sole splendeva e le rondini avevano fatto la loro comparsa nel cielo.
Mario non si stancava di osservarle mentre volavano libere e felici, in evoluzioni, a volte, spericolate. Quelle bestiole gli mettevano tanta allegria addosso.
La sua raccolta attenzione fu turbata dalla voce di Lucia, che correva verso di lui, chiamandolo a gran voce: "Mario, Mario!"
Mario e Lucia erano amici e frequentavano la stessa scuola, anche se non la stessa classe.
Lucia aveva 9 anni ed era di un anno più grande di Mario.
"Che succede?" chiese Mario. "Come mai sei così agitata?"
"E’ che stiamo per entrare in guerra!" rispose Lucia.
"Co…come in guerra?…" balbettò Mario.
Per un istante era come se il cuore si fosse fermato nei loro petti.
"Si, in guerra!" ripeté Lucia, mentre riprendeva fiato dalla corsa che aveva fatto.
Un brivido di paura percorse la schiena di Mario, anche se non comprendeva del tutto il significato di quelle parole.
"Stiamo per entrare in guerra con chi?" chiese Mario. "E chi te lo ha detto?"
Un raggio di sole fece brillare le piccole gocce di sudore sulla fronte scura di Lucia, mentre, con un gesto del capo, rimetteva in ordine le sue treccine.
"Ho sentito degli uomini che lo dicevano tra loro, là, sulla piazza" disse Lucia. "Pare che faremo la guerra con i nostri confinanti, quelli che vivono al di là delle montagne" proseguì.
"Chi, quelle persone dalla pelle chiara, di cui abbiamo tante volte sentito parlare?" chiese Mario.
"Proprio loro" confermò Lucia.
"Ma ci hanno sempre detto che si tratta di gente pacifica e semplice, anche se parlano una lingua diversa dalla nostra…" disse, quasi tra sé, Mario.
"Si, così ho sempre sentito anch’io. Anzi, una volta mi è capitato di incontrare una famigliola che si era avventurata da noi per cercare lavoro, e ho fatto amicizia con i loro bambini. Amicizia per modo di dire, perché non era facile comprendersi a parole, però con i gesti e il sorriso, un po’ ci siamo capiti" disse Lucia.
Mario e Lucia erano – come avrete capito – due bambini di colore, come si dice oggi, e abitavano in una terra lontana, lontana. E i loro vicini erano bianchi, ma con le guance rosa. I rapporti tra le due popolazioni non erano molto intensi, nonostante la vicinanza.
"Bisogna che ne sappiamo di più" disse, convinto, Mario.
"Sono d’accordo con te" gli rispose Lucia e continuò: "A chi possiamo chiedere? … Aspetta … si, si… al vecchio Giacomo".
Presi dalla gran voglia di notizie, si incamminarono, anzi, corsero verso la casa di Giacomo.
"Giacomo! Giacomo!" urlava Lucia.
"Giacomo! Giacomo!" gli faceva eco Mario.

Dovete sapere che Giacomo era un anziano signore, dai corti e ricci capelli, ormai d’argento.
Era un uomo di poche parole e piuttosto solitario. Non è che non gradisse la compagnia degli altri, ma amava la solitudine e i suoni della natura, che lo facevano sentire in pace con se stesso e con il mondo. Si affascinava a sentire il rumore del vento o il ticchettio della pioggia.
Era particolarmente amato dai bambini, ma anche gli adulti lo cercavano, ogni tanto, per avere un consiglio su cose che li turbavano.
Abitava in una piccola casa, a piano terra, con un giardino, altrettanto piccolo, che aveva riempito di fiori e pietre e con una vasca per i pesci. Era un piacere rasserenante osservare l’armonia dei colori e delle forme di quel giardino.
Per guadagnarsi da vivere scolpiva dei piccoli cavalli di legno, che un mercante passava a ritirare quasi ogni settimana.
Ogni tanto un cavalluccio lo regalava ai bambini che passavano a trovarlo e a fare una carezza al suo cagnolino, un barboncino scuro, di nome Dik.
Mario e Lucia lo raggiunsero mentre era seduto, pensieroso, davanti alla sua casa.
"Giacomo…Giacomo!" trillò Mario.
Dik li accolse con uno scodinzolio festoso.
"Che succede, bambini?" chiese loro Giacomo.
"E’ vero che stiamo per entrare in guerra con gli uomini bianchi che abitano al di là delle montagne?" domandò, tutto d’un fiato, Lucia.
"Purtroppo è così…" rispose, tristemente, Giacomo.
"Perché ?" chiese Mario.
Giacomo disse ai due bambini di sedersi su una pietra, accanto a lui. Dik si acciambellò ai loro piedi.
Giacomo si passò la mano sul collo, come se raccogliesse i pensieri, sospirò, scrollò il capo e iniziò a parlare: "I nostri governanti hanno deciso di impossessarsi della nazione dei nostri vicini" spiegò Giacomo.
"Impossessarsi della nazione? Cosa significa?" domandò a precipizio Lucia, frastornata da quelle parole. E seguitò: "Impossessarsi delle persone, delle case, delle piante, degli animali, del cielo, della terra, dei fiumi?"
"Più o meno" disse Giacomo con un filo di voce.
"Ma non abbiamo la nostra, di nazione, per vivere?" chiese Lucia, ancor più infervorata.
"Certamente" confermò Giacomo. "Ma dicono che siamo diventati troppi e la nostra terra non basta a sfamarci tutti quanti, mentre i nostri vicini sono pochi e con una terra assai vasta".
"In guerra…" disse, quasi tra sé Mario, ancora incredulo. "In guerra…" ripeté.
Quella terribile parola girava e rigirava per la sua testa, come un vento gelido ed inquietante. Anche Dik sembrava diventato inquieto.
"Ma per fare la guerra serve un esercito, tanti soldati e tante armi… e battaglie, e battaglie…" disse Mario.
"E’ così" confermò Giacomo.
Come un fulmine che all’improvviso saetti nel cielo, così un pensiero si fece largo nella mente di Lucia: "Mio padre! Mio padre!" quasi gridò.
Dik drizzò le orecchie, allarmato.
"Tuo padre, cosa?" domandò Mario, che non aveva ancora compreso.
"Se scoppia la guerra," gli rispose Lucia "gli uomini dovranno andare a combattere. Io non voglio che mio padre ci vada… potrebbe morire…"
"Anche il mio, anche il mio…" disse Mario, che ora aveva capito. "Anch’io non voglio!"

Giacomo, di fronte alle parole allarmate dei due bambini, non riusciva a trovare il modo per consolarli. Del resto, in cuor suo, sentiva che i bambini avevano ragione.
"Giacomo, cosa possiamo fare?" gli domandò, infine, Lucia.
"Bambini, possiamo solo cercare di comprendere gli avvenimenti, ossia gli atteggiamenti e i comportamenti degli uomini, ma fermare la guerra …" rispose, sconsolato, Giacomo.
"Diciamolo a tutti i bambini," fece Mario "diciamo loro che convincano i loro padri a non andare in guerra".
"Sarebbe bello, ma non so se servirà" replicò Giacomo.

Lucia si addentrò ancora di più nella sua riflessione: "Una guerra, una guerra… una follia ! Quante persone moriranno ? E quante resteranno ferite o mutilate ? E non solo tra i combattenti: madri e padri che perderanno i loro figli, mogli che resteranno vedove, figli orfani … Quanto dolore, quante lacrime !"
"Proprio così" assentì Giacomo.
"Che follia, che follia" seguitò tra sé Lucia.
A quel punto Mario comprese una cosa importante: "Ma non solo tra la nostra gente ! Porteremo morte e dolore anche ai nostri vicini. Anche là ci saranno morti e feriti, soldati e civili. Bambini che piangeranno, tanto terrore … Ma non ci hanno pensato?"
"Temo di si" gli rispose Giacomo. "Ma forse non gliene importa molto. Pensano che il loro obiettivo sia più importante delle sofferenze e delle morti, anche dei nostri. Anzi, preferiscono che la gente non pensi a tutto ciò".
"Non capisco, non capisco" ripeteva Mario.
"Ma l’esercito, le armi, saranno costati tanto denaro, frutto del lavoro di tutti" disse Lucia. "Non sarebbe stato meglio usarlo per il bene di tutti, per i loro bisogni ?"
"E quanto costerà una guerra?" chiese Mario.
"Chi può dirlo…" rispose Giacomo.
"Che follia, che follia!" seguitò ad esclamare Mario.
"E poi," riprese Lucia, "anche se dovessimo battere i vicini – che, oltretutto, non ci hanno fatto niente – insieme alle sofferenze e alle morti creeremo anche tanto rancore, tanta rabbia, a causa della nostra prepotenza. Quelle genti ci odieranno e cercheranno, magari, di farcela pagare. Vivremo sempre con la paura di una rivalsa, di una vendetta. E poi, li faremo diventare dei servi, degli schiavi, o che altro ? Non mi piace…"
Lucia si rese conto che la questione era molto complessa e la sua testolina-treccina sembrava incapace di immaginare tutte le conseguenze di una guerra.
"Ma se la nostra terra sembra non essere più sufficiente," riprese Mario "non si potevano trovare altre soluzioni, invece della guerra?"
Giacomo capì che la domanda era centrale e poteva essere un’ottima occasione per alleggerire un po’ lo stato d’animo dei due bambini.
"Penso proprio di si" disse Giacomo. "Voi, come avreste fatto?"
"Non è facile," rispose Mario "ma se la terra dei vicini è molto più ampia, potremmo comperare dei prodotti della terra da loro".
"Oppure," aggiunse Lucia "potremmo fare degli scambi. Noi, per esempio, abbiamo degli ottimi artigiani che lavorano il ferro. In cambio dei loro prodotti potremmo fornire loro degli attrezzi agricoli. Così otterranno raccolti ancora più abbondanti !"
I due bambini si erano appassionati a quella discussione. Gli sembrò che le soluzioni potessero essere tante, al fine di evitare la guerra: migliorare le tecniche di coltivazione, ridurre gli sprechi, gli eccessivi arricchimenti, le ingiustizie… e tante altre soluzioni.

"Però," disse Mario " i nostri vicini parlano un’altra lingua. Come faremo a capirci ?"
"Non credo sia un grande problema," rispose Lucia "dato che tutte le persone che abitano lungo i confini hanno già rapporti con i nostri vicini e quindi comunicano già, si comprendono. Cercheremo di imparare la loro lingua. Basterà far conoscere loro le nostre necessità e sentire se la cosa può interessarli. Io credo di si".
"E per la religione ?" chiese Mario. "Loro credono ad un Dio diverso dal nostro, così mi hanno detto".
"E pensi che questo sia un ostacolo ?" ribatté Lucia.  
"Se un Dio c’è, è nel cuore di ogni uomo, e ci insegna l’amore e il rispetto per ogni forma di vita e per tutte le necessità della vita: l’acqua, l’aria, la terra, ecc. Ci insegna la solidarietà e la compassione. Come pensi che la religione possa rappresentare un elemento di divisione, se è sentita e vissuta sinceramente ?"
"Credo possa creare dei problemi," seguitò Lucia "solo quando si pensa a Dio come ad una proprietà personale, come se il nostro fosse l’unico Dio. Ma il sentimento di Dio è rivolto a qualcosa di unico e di universale… E’ come il vento che soffia su tutti, senza appartenere a nessuno".
Giacomo ascoltò quasi con sbalordimento le parole della piccola Lucia, che sembrava come ispirata. Era proprio compiaciuto. Era proprio una piccola saggia.
Anche Dik scodinzolava con approvazione.
Mario, invece, seguitava a fissare Lucia con la bocca aperta. Non l’aveva mai sentita parlare così, però gli piacevano le cose che aveva detto ed era contento di essere suo amico.
A quel punto Giacomo pensò che fosse il caso di portare ad un ulteriore approfondimento i ragionamenti sin lì fatti e pose ai due bambini una domanda:
"Come pensate, allora, che si possa evitare una guerra?"
"Abbiamo detto tante cose," disse Mario "e io non saprei cosa aggiungere".
"E tu, Lucia?" chiese Giacomo.
"Quando ho risposto a Mario sulla religione," rispose Lucia "mi sono trovata ad usare due parole: solidarietà e compassione. Mi sembra possano essere due parole veramente importanti".
"Sembra anche a me" disse Giacomo. "Puoi farmi capire meglio?"
"Ci provo" rispose Lucia. "Pensare ad una guerra è possibile solo se l’altro è visto come uno straniero, altro da sé, di cui non mi importa nulla. Certamente può apparire tale perché ha una lingua, una religione, delle usanze e magari anche il colore della pelle diversi.
Ma queste differenze sono solo una parte della realtà. Essendo esseri umani, abbiamo infatti bisogni e sentimenti simili. Dunque c’è una base profonda che ci avvicina, ci rende simili. Così può essere importante scoprire, evidenziare l’umanità degli altri, al di là delle differenze più visibili e superficiali. Se prendo a cuore la realtà dell’altro, avvicinandomi, frequentandolo, conoscendo i suoi bisogni e la sua storia, condividendo i suoi sentimenti, le sue gioie, speranze, dolori, paure, e, dunque, legandomi a lui, credo sarà ben difficile che io possa fargli del male, farlo soffrire. Far soffrire lui sarà anche far soffrire me".

"Ci aiuteremo," proseguì Lucia "anziché fare la guerra. Cercheremo insieme la strada per la pace".
Giacomo fu commosso dalle parole di Lucia.
Lui stesso non avrebbe saputo dire di meglio. Era proprio contento di quella bambina.
"Speriamo che questa temuta guerra non debba proprio scoppiare" disse Giacomo. "In ogni caso noi abbiamo messo insieme le prime, piccole pietre per impedire che ciò accada".
"Tornate sereni ai vostri giochi" disse loro Giacomo, salutandoli.
Dik, com’era nel suo carattere esuberante, abbaiò e scondinzolò a più non posso…
Giacomo tornò ai suoi cavallucci e il mondo – che si era quasi fermato nella coscienza dei bambini, presi dai loro importanti pensieri – riprese il suo corso: le rondini seguitavano i loro voli festosi e Mario e Lucia continuarono a correre con quanto fiato avevano in corpo.
La notte calò come una benedizione su tutte le genti e il giorno seguente il sole tornò a splendere e a fugare le tristi nubi nate al pensiero della guerra.

 

Luciano Galassi