RÉVERIE SU UN PICCOLO NIDO

 

Premetto che quello che mi piace della Réverie è il fatto che - almeno per me - si sa da dove si parte (un "centro di attrazione") ma non dove si arriva, quali percorsi, "territori", si toccheranno o ci attrarranno ulteriormente, strada facendo. Sì è senza "mappa".

 

Un piccolo nido, dunque.

La prima sensazione è un sentimento di tenerezza, che mi pare essere il tema centrale.

E qui una prima sosta è inevitabile.

Chissà se anche gli animali provano la tenerezza, o si tratta solo di un attributo umano ?

Forse non lo sapremo mai.

Forse per un uccellino fare un nido è solo fare un nido, una finalità pratica e istintiva:  viene allora da domandarsi a cosa possa servire il vissuto umano, che cosa possa aggiungere.

Certo è che la tenerezza ci appartiene, ci accade.

Chissà a cosa serve ?

Una prima annotazione è che la tenerezza ci scioglie, un po' come rilassarsi e immergersi in un'acqua tiepida e accogliente.

La tenerezza ci rende permeabili, fa sì che veniamo toccati.

I recettori della sensibilità si fanno più attenti.

Anche i nostri confini sembrano dilatarsi: è come se le nostre braccia divenissero più elastiche e "allungabili", pronte ad un abbraccio allargato.

Braccia aperte, pronte a portare il mondo fuori e quello dentro più vicini al nostro centro, nel punto più ricettivo e attento.

Nel caso della tenerezza procurata dal piccolo nido, si direbbe quasi che la tenerezza sia un ponte tra due regni, quello umano e quello animale.

E questa è una sorta di "torsione", verso una visione che non si sofferma solo nell'ambito umano, che non riconduce tutto solo all'umano, anche se è in quest'ultimo ambito che viene percepito.

Due regni si intrecciano, non hanno confini rigidi.

Forse la tenerezza è un piccolo seme, una traccia nell'universo, quasi una sostanza impalpabile e pronta ad attivarsi dentro di noi.

Sicuramente importante per la stessa vita.

Il piccolo nido è la dimora di una nuova vita, e la sua realizzazione è scritta nelle profondità della specie.

Pagliuzza dopo pagliuzza, in un luogo sentito adatto, prende forma la "culla" dove verranno deposte le uova, che saranno covate sino alla schiusa, e sarà dimora fino all'indipendenza dei nuovi nati.

Poi il nido verrà abbandonato al suo destino di disfacimento.

Per tutto il tempo necessario sarà un rifugio sotto il cielo, il bel tempo e la pioggia, di giorno e di notte.

Solo l'essenziale, per perpetuare la vita: un "contenitore" funzionale, il calore del corpo della madre, le sue piume, le sue ali, la sua premura e la disponibilità a seguire le "leggi" dell'istinto.

 

La tenerezza ci porta a chiudere gli occhi, a rilassare e ad acuire la nostra attenzione, e a volte, con un gesto spontaneo, ad avvicinare le cose alla guancia.

In quel gesto semplice è inscritto il senso della preziosità, qualcosa di non ragionato, che ci insegna il valore autentico delle cose, ce ne evidenzia la "sacralità".

Qualcosa che "abbracciamo", che accogliamo, con ciò stesso creando legami, divenendo permeabili a ciò che è scritto dentro di noi, conoscendoci e imparando ad affidarci a quella complessa "architettura" e alle molteplici sfaccettature del prodigio che chiamiamo vita.

Siamo, a volte, troppo posizionati solo sulla ragione, sulla volontà: un uccellino potrebbe esserci sincero Maestro: il suo sguardo sul mondo interiore è forse più limpido e meno tormentato del nostro.

 

Luciano Galassi

(23 agosto 2014)

 

 

“Ho visto un nido in rovina in cima a un grande albero e questa vista era dolce come quella di un cuore che ha compiuto il suo lavoro”                                                                                                                   Christian Bobin