______________________________________________

«Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi ?

Non è costui il figlio del falegname? » 

                                                         (Matteo 13,54-58) 

... e togliendosi il paraocchi ? …


______________________________________________

 

Questa riflessione ha per tema la fecondità, ma non si riferisce a quella biologica, alla riproduzione della vita, ma ad un'altra fecondità, non meno importante: quella dello spirito, dell'anima, quella che scaturisce dalla consapevolezza umana.

Per completezza di informazioni di partenza, dirò che nasce passo-passo, ha solo lo slancio di qualche lampo intuitivo, una sostanza non ancora del tutto consapevole, e che non sa bene quali aspetti finirà per toccare (e forse abbiamo una abissale necessità dell’imprevedibile, dell’inatteso).

Certo è, invece, che è una riflessione che parte con una buona dose di sana rabbia (ammesso che ci sia qualcosa di non sano, nelle emozioni umani).

Come prima cosa dirò che la fecondità rimanda, quasi immediatamente, alla sterilità, alla sterilizzazione e all' "aborto".

Questo non è per un mandato ineludibile, bensì in quanto constatazione della storia della nostra cultura.

Questo significa che io credo che la fecondità non sia stata ancora adeguatamente riconosciuta e valorizzata, che attenda ancora la sua era.

Fecondità è pensiero fecondo, parola feconda, ossia qualcosa che apre nuovi orizzonti del percorso umano, che vale per uno e vale per tutti.

La parola feconda sia apre sulla realtà della vita, porta consapevolezze nuove e può essere occasione per trasformarla, la vita.

E la fecondità è per troppo tempo appartenuta solo a poche persone, a chi era detentore di un potere, che fosse politico, militare, scientifico o religioso, e che era interessato a soffocare e a manipolare l'affiorare della fecondità negli altri.

Una delle prime constatazioni importanti è che la fecondità, lo sviluppo di un pensiero fecondo, si accompagna, in maniera inestricabile, all'essere uomini, all'essere qui, all’esprimersi di quel potere preziosissimo e mirabile che è la consapevolezza, la coscienza.

È quindi, almeno in via potenziale, attributo di ciascuno, e non solo di pochi privilegiati.

Non pervenire alla fioritura della fecondità è fallire, almeno in parte, il senso dell'essere persone, è un percorso che si arresta, che inaridisce miseramente.

Ma c'è anche un altro pericolo, ancora più subdolo, ossia l'indifferenza, che può funzionare come un temibile boomerang, rispetto alla coscienza di sé.

Nella realtà della nostra convivenza, che diviene anche abito mentale e che dunque struttura pesantemente l'interiorità, questa fecondità non ha diritto di cittadinanza, non è prevista, oppure è condizionata ad una serie di riconoscimenti, a volte fortuiti, ma spesso pilotati, legati a conoscenze, appartenenze, aderenze, convenienze:  ancora una volta, al potere.

Non è certo una gara a chi è più "bravo", o a chi riesce a farsi notare.

Un pensiero fecondo non può seguire il destino di un terno al lotto o di raccomandazioni.

Lo segue di fatto, ma è l'equivalente di violenza sposata all'incoscienza, è prepotenza rivolta contro la nostra stessa natura, è opera di banale sterilizzazione e perdita di orizzonti nascenti, di cui non sappiamo che fare.

È opera sprezzante e sacrilega nei confronti dello Spirito, che soffia dove vuole e può.

Dirò di più: fecondità ed identità, pienezza dell'identità, sono inscindibili.

Sono, sono vivo e sono fecondo !

 

Come si vive in una società che non concede attenzione e ascolto alla fecondità delle persone ?

È come un lombrico calpestato: soffre e si contorce miseramente, drammaticamente.

E fecondità non è un assemblaggio di nozioni, dati, notizie, ricordi rimasticati, e non è neppure appannaggio degli "esperti": è pura ed esclusiva originalità, è dignità e autenticità di persona.

Per questo non possiamo permetterci di perderla o di sciuparla.

Farlo, è una abissale dichiarazione di chiusura mentale, detta comunemente stupidità.

Non è inutile un pensiero fecondo e chi lo partorisce, è imbecille una società che non sa che farsene, mentre osserva le ultimissime, sculettanti, veline, o la milionesima puntata di "Beautiful" o di "Un posto al sole".

Essere fecondo è un'altra maniera di dire uomo/donna, è la sua naturale fioritura e dignità.

Manipolare, depistare, creare impedimenti alla percezione dell’evolversi e del prendere forma e sostanza di un pensiero fecondo, approdo “naturale” della vita interiore e del “potere” creativo che ci abita – e che non è appannaggio di “eruditi” e “sapienti” accreditati - è opera violenta, al servizio della sottomissione e del potere, e “furto” alla consapevolezza globale.

Di fronte a tanta ricchezza sciupata, non riconosciuta, non prevista, non acquisita nel processo dell'esistere, serve uno sguardo differente, una mappa diversa dell'essere al mondo, degli attributi umani, una diversa percezione di sé, non più mortificata e insterilita dai luoghi comuni, dalle regole del "gioco".

È indispensabile per una vita più vera, sincera e consapevole.

Può non interessare a nessuno, ma non possiamo abbagliare noi stessi.

Dobbiamo riappropriarci di ciò che non ci è stato concesso, ma che ci costituisce intimamente, per noi è per tutti.

Una vita in cui lo Spirito langue, in cui le antenne non captano niente, in cui non si ha niente da dire di autentico, di originale, non è uno sfregio al Mistero che ci abita ?

Come potremo essere felici, come eviteremo l'infelicità, abortendo noi stessi, costringendoci ad aderire al buio modello dominante, che ci vuole vuoti, insignificanti, e parte del gregge belante, misero e questuante ?

È un vuoto che è urgente colmare, superando secoli di oscurantismo, false verità e istruzioni "truccate", da rispedire al mittente.

La vita attende l’apporto della nostra presenza consapevole.

Per questo siamo stati formati: una scintilla pronta a divenire Luce. 

È nel nostro DNA.

Niente meno di questo...

 

Riprendiamoci la nostra vita, liberiamola dai “trucchi”  e dagli "incantesimi" !

 

Luciano Galassi

(marzo 2014)

 

 

SCHIAVI

 

Siamo fiori appassiti nel gelo della notte,

bruciati dalla rabbia e dalla nera disperazione.

Siamo fiori senza memoria,

che non vedono la luce,

ipnotizzati come mendicanti,

vuoti persino della dignità.

Siamo ciechi, dalle bocche aride,

gregge belante pronto ad offrire la gola

per un misero pugno di certezze

di pessima qualità.

I secoli ci scorrono addosso,

solo per costruire monumenti alla prima carogna

dalla sfacciataggine granitica,

e solo per il brivido acido

degli schiavi e degli arresi di ogni età.

Una sola goccia d’acqua è più libera di noi,

pronta a ricongiungersi con gioia

al cielo o al padre oceano,

pronta a dissolversi

in un infinito di luce senza età.

 

Luciano Galassi