foto di MARIO GIACOMELLI
foto di MARIO GIACOMELLI

       

       I CONTADINI TORNANO A PARLARE

Può succedere che quando un pensiero, dopo la necessaria gestazione, è lì lì per giungere a maturazione e divenire pienamente consapevole, arrivi, a sorpresa, un qualche "aiuto" dall'esterno, come una "levatrice".

Sono dunque riconoscente a Franco Battiato, del quale ho ascoltato il brano "U cuntu" [vedi il testo in basso] che è andato in onda giovedì 17 aprile 2014 su "Tutta la città ne parla", di Radio Rai 3.

Il canto è in dialetto, ma qualcosa mi è arrivato, prima di comprenderne del tutto il significato, e una considerazione mi è parsa, come non mai, evidente.

L'amara riflessione di Battiato, che traspariva dalle crude parole e dalla cupa atmosfera dell'accompagnamento musicale, sono state il catalizzatore di una presa di coscienza: "C'è necessità della parola, della testimonianza, della denuncia", mi sono detto.  Battiato lo sta facendo.

Ecco cosa si può e si deve fare. Non si può stare zitti !

Per tanti anni, dopo il disfacimento del mondo contadino, ci si è soprattutto dedicati a ricordare, recuperare, riproporre le musiche, i balli, i canti, i riti (come pure gli attrezzi, gli utensili, ecc.) che quel mondo aveva elaborato.

Si avvertiva, però, che mancava qualcosa, che quelle modalità non erano più sufficienti, che stavano rischiando di essere sempre più vuote di significato e di presa sulla realtà:  un nostalgico "come eravamo".

Se quel mondo ha smesso di esistere e di parlare, noi, protagonisti, figli, nipoti, "eredi", siamo la sua voce viva. Non ci sono altri a cui chiedere, ci siamo solo noi.

Gli "eredi", hanno da riprendersi la parola, devono dire la loro al mondo presente, secondo il particolare punto di osservazione che proviene dalla loro storia, dai loro valori.

Devono uscire fuori dalla frammentazione e dalla "riserva" in cui sono stati tristemente confinati, rifiutarsi di seppellire tutto.

Occorre riprendere un cammino interrotto, essere presenti oggi, mantenendo una dignità e una sintonia di visioni e di contenuti con la gente dei campi, magari ampliandoli, approfondendoli, "aggiornandoli".

Così anche loro "torneranno a vivere", seguiteranno a fecondare il presente, "parleranno" dal e del loro essere contadini, agli uomini del duemila.

I “contadini”, oggi siamo noi …

Ma questa "nuova" voce non è che uno dei tanti rivoli della contemporaneità che confluiscono nel fiume della coralità contemporanea.

Gli "eredi" hanno oramai solo il ricordo, la memoria, l'impronta dei contadini, ma sono il loro "tesoro", o uno dei "tesori", a cui attingere.

Altri, con radici diverse, avranno sicuramente il loro.

 

Alla fine occorre dire che forse non c’è niente da inventare, niente da diventare, ma solo da divenire consapevoli di essere noi i figli, gli “eredi”, e che il mondo contadino, che abbiamo vissuto e respirato, non ha mai cessato di essere vivo dentro di noi, anche se scomparso, e non può che parlare attraverso di noi.

Dunque c’è solo da riconoscere la dignità e il valore delle radici: la “eredità” non può esserci tolta, e neppure la voce.

 

Cosa troviamo ancora di vivo, dentro di noi, del mondo contadino ?

Quali frammenti ?   Quali semi ?

Forse un sorriso, l'accoglienza e un bicchiere di vino, una vergara e un vergaro, con pari dignità.

La sovranità della propria esistenza.  Forse la solidarietà, il sostegno reciproco.

Forse la dignità del lavoro, della fatica di procurarsi onestamente il giusto necessario per vivere.

L'amore e il rispetto per la terra, gli alberi, gli animali, l'acqua.

Forse la sapienza del proprio lavoro, in tutte le sue innumerevoli forme.

 

Proprio sulla scia di queste considerazioni nasce un testo poetico, che vuole anche essere lo spunto per "riprendere a parlare".

E' un testo che non è solo un "quadro" tenero legato al passato, ma anche una testimonianza di affetto e rispetto per i "fratelli animali", che arriva sino a noi.

 

 

È NATO UN VITELLÌ

 

È nato un vitellì,

e 'nte la stalla è festa,

aprite la finestra

che il sole ha da guardà.

 

È nato un vitellì,

e dorme 'nte la paja,

la madre se lo guarda

e po' lo fa poccià.

 

Cià pure un fiocco rosciu,

legato 'ntorno al collo,

vedessi quanto è bellu

è nato proprio qua.

 

Aprite quella porta,

che vengano i bambini,

tra santi, so' vicini,

e s' hanne da guardà.

 

Se c'è un rispetto sacro,

se vive in armonia,

la vita sua e la mia,

insieme a camminà.

 

Luciano Galassi

(19 aprile 2004)

 

 

          "U cuntu" - di Franco Battiato      

 

'Usennu

stamu piddennu 'u sennu
ti ni stai accuggennu

unni stamu jennu a finiri
'ccu stu munnu ca sta 'mpazzennu
luceunu 'i stiddi dda
luntanu supra 'u mari
li cosi cari parunu cchiù beddi
nan sacciu cchi fu a ieri visti 'a motti
addummisciuta 'nda 'na gnuni
nan si uosi arrusbigghiari
Hic et nunc non habeo dispositionem mentis
latus mundi insanus est
malus imbutus malis libidinibus.

Il senno
stiamo perdendo il senno

te ne stai accorgendo
dove stiamo andando a finire
con questo mondo che sta impazzendo
lucevano le stelle
lontano sopra il mare
le cose care sembrano più belle
non so che fu ieri ieri ho visto la morte

addormentata in un angolo

non si volle svegliare

Adesso non ragiono

Il mondo è impazzito

Negativamente ispirato (educato) a causa di cattive passioni.